di Giuseppe Gaetano, editor in chief
Per 3 famiglie su 5 – specie le unipersonali e quelle più numerose – il reddito disponibile è inadeguato per comprare casa, anche perché non ci sono prospettive di stipendi molto più sostanziosi in futuro e la gran parte dei budget non è riuscita negli anni a restare al passo col costo della vita.
Da qui la quota di nuclei in affitto, passata dal 56% del 2023 al 59,3% del 2024 nonostante canoni di locazione spesso superiori al mutuo. Tuttavia, in base al 17° Rapporto sull’Abitare, in Italia ci sarebbero quasi un milione di aspiranti proprietari immobiliari; 2/3 di questi, secondo Tecnocasa, vi rinunciano però per problemi di liquidità.
Ora a pesare sulla decisione non è più tanto il costo del mutuo, sceso obiettivamente in maniera sensibile nell’ultimo periodo, ma quello dell’appartamento; e non si azzardano a fare il passo più lungo della gamba: Nomisma e Crif rilevano, infatti, che l’anno scorso i mutuatari che hanno dichiarato di avere difficoltà con i pagamenti sono scesi al 4,3% dal 6% del 2023 e dal 7,5% del 2022.
Oltre metà dei consumatori interpellati di recente anche da AstraRicerche conferma che sono i prezzi di vendita a frenare l’acquisto, mentre per il 36% del campione l’anticipo necessario a coprirlo (che oggi potremmo calcolare in media attorno ai 40mila euro per un finanziamento tra 130mila e 180mila euro). Senza contare la quantità di spese fisse e accessorie di cui ha bisogno poi una casa una volta comprata.
Fatica a ottenere un mutuo il 24% degli intervistati, mentre un buon 28% lamenta la scarsità di immobili in linea con le proprie esigenze: stando alla survey, addirittura solo il 6,8% di chi ha acquistato casa negli ultimi 2 anni sarebbe riuscito a trovare esattamente ciò che desiderava. Questo dato apre una questione fondamentale: a fronte di una maggiore e più attenta richiesta abitativa, non si è riusciti a programmare in tempo un’offerta residenziale adeguata.
Secondo l’ultimo censimento Istat disponibile al 2021, a livello di densità si passa dalle 234,7 case per km2 della Lombardia alle 36,2 della Basilicata: in diverse regioni, quindi, il business parte già svantaggiato dalle stesse possibilità di scelta a disposizione della clientela. Inoltre, le previsioni demografiche indicano che – nonostante il calo della popolazione residente (a 58,6 milioni nel 2030, a 54,8 nel 2050 e a 46,1 nel 2080) – tra 20 anni ci sarà circa un milione di famiglie in più, ma maggiormente frammentate: meno coppie con figli e più senza (oltre il 25%), dunque la domanda potenziale non diminuirà.
Il problema riguarda in particolare chi cerca una casa in elevata classe energetica, ormai preferita a parità di condizioni dalla maggioranza degli acquirenti, costretti di frequente a ripiegare su ciò che trovano sulla piazza e ad efficientarlo successivamente con un ulteriore esborso.
Non sarà facile ottemperare al cronoprogramma della direttiva europea “Case Green”: le abitazioni costruite prima del 1919 rappresentano ancora il 9,5% del nostro parco residenziale e più di 2 su 3 risultano occupate; gli immobili edificati tra il 1961 e il 2000, invece, sono quasi 20 milioni e corrispondono al 56,3% del totale.
In sintesi, se il business del credito immobiliare ha ripreso quota lo si deve quasi esclusivamente alle banche – che hanno anticipato i tagli ai tassi di interesse della Bce e stanno lanciando sul mercato numerosi prodotti agevolati (specie in chiave “verde”); non certo alla straordinaria apertura del Fondo Consap a nuovi target di beneficiari e tanto meno ai prezzi degli appartamenti: forse il giro d’affari real estate sta gonfiando, in alcune aree metropolitane, una bolla destinata prima o poi a esplodere?
Mondo del Credito al giro di boa 2025, la Domanda segue la stabilizzazione dei Tassi