14 Maggio 2025

Banche italiane col vento ancora in poppa, verso il primo semestre 2025

di Giuseppe Gaetano, editor in chief

E’ stata una settimana intensa tra la pubblicazione delle prime trimestrali 2025 e le ultime dichiarazioni sul “risiko bancario” in corso.

Altri resoconti intermedi – come ulteriori novità sul fronte M&A – usciranno nei prossimi giorni, tuttavia le Big hanno presentato ormai i loro conti al 31 marzo ed è tempo quindi di bilanci sull’avvio d’anno.
Anche altre analisi usciranno prossimamente, intanto è di Morningstar DBRS la prima che – per i primi 5 Gruppi italiani (Intesa Sanpaolo, UniCredit, Banco BPM, BPER e Monte Paschi Siena) – calcola un utile netto aggregato di 6,8 miliardi di euro da gennaio (+12% a/a, +55% t/t) “grazie al solido trading income e alla disciplina dei costi, consentendo alle banche di assorbire un potenziale futuro aumento del costo del rischio, qualora le tensioni commerciali globali avessero ripercussioni sulla crescita economica”. Al momento, il tira e molla sui dazi doganali del presidente Usa Donald Trump ha più che altro spinto i player a mantenere la maggior parte degli incarichi gestionali.

Il maggiori volume di prestiti, unito al contributo dei titoli a reddito e dei benefici derivanti dalle coperture, ha compensato solo in parte l’impatto negativo dei tassi sul margine di interesse (-6% a/a, -5% t/t).
Le commissioni nette reggono (+8% a/a, +7% t/t) riflettendo, tra l’altro, la crescente diversificazione delle attività verso il business bancassurance. Le rettifiche su crediti calano (-12% a/a, -54% t/t) rispecchiando solidi profili di rischio e bassa formazione di Npe; il tasso medio di default resta invariato, e non s’intravedono particolari minacce per la qualità degli attivi. La capitalizzazione rimane robusta, col CET1 medio stabile al 15,9%: nel complesso, in scia alle chiusure d’esercizio 2024, le grandi banche appaiono ben munite per affrontare l’onda d‘urto delle future acquisizioni e la conseguente possibile riduzione dei cuscinetti di capitale.

Lato tecnologia s’intensificano investimenti, formazione, collaborazioni con fintech verticali e caccia ai giovani talenti. Secondo Deloitte, tra i prodotti più richiesti da remoto crescono polizze assicurative e prestiti, mentre sui mutui resiste l’approccio in presenza: l’anno scorso solo il 15% dei finanziamenti per comprare casa è stato erogato “a distanza”, a causa soprattutto di complessità burocratica e preferenza della clientela per la consulenza de visu. Nel complesso, il credito retail acceso sul web tocca il 30%: lo studio prevede un’erogato di 44,3 mld fra 4 anni, trainato da strumenti più semplici quali prestiti personali e finalizzati (e, aggiungiamo, il buy now pay later).
La bancassicurazione ha visto invece sottoscrivere online il 50% di tutte le polizze, e svolgersi in modalità virtuale il 40% delle relazioni clienti/promotori.

Le neobank continuano ad attrarre utenti e a crescere a due cifre: un percorso evolutivo tipico delle realtà native digitali orientato alla scalabilità – in genere raggiunta in 7 anni di operatività – in cui a engagement e monetizzazione, segue la diversificazione su segmenti e prodotti più articolati.
Sebbene il pubblico sia sempre più “navigato” in Rete , a cui si rivolge ormai per ogni incombenza del quotidiano, la tendenza ad affidarsi al web cala al crescere di complessità e importo delle soluzioni. L’utilizzo dell’internet banking è ancora inferiore alla media europea: secondo Eurostat il 55% degli italiani accede ai servizi bancari online, il gap continentale va comunque accorciandosi. Deloitte rileva come la diffusione digitale nel nostro Paese sia trainata dal canale mobile, con il 60% di active user nel 2024 contro il 35% del desktop: una percentuale destinata a salire fino all’80% nel 2029, a fronte di una corrispondente riduzione delle visite fisiche in filiale dall’attuale 65% al 50%.

Continua a far discutere, a tal proposito, la cosiddetta “desertificazione bancaria”: nei primi 3 mesi hanno abbassato la serranda 95 sportelli (-0,5% a/a), in linea col trend che a dicembre ha portato il loro numero sotto 20mila unità. Si stima che nel 2029 possano ridursi a 16mila, ma intanto le 432 chiusure dell’ultimo trimestre 2024 hanno rappresentato il dato più elevato dall’inizio delle rilevazioni Fiba nel 2022. Dall’elaborazione della fondazione, sulle cifre rese disponibili al 31 marzo scorso da Bankitalia e Istat, gli ultimi tagli alla rete fisica hanno riguardato soprattutto Liguria (-1,2%), Veneto (-1%) e Friuli (-0,9%); all’opposto Calabria e Umbria registrano uno sportello in più, in entrambe le regioni grazie al credito cooperativo.
Da inizio anno il fenomeno ha interessato 100mila cittadini: altri 5 comuni sono rimasti senza filiale; altri 18 ne hanno una sola e, nella metà dei casi, l’unico presidio è di una Bcc.

Nei bilanci 2024 i Gruppi “Iccrea e CCB avevano complessivamente un capitale di primaria qualità in eccedenza rispetto ai requisiti regolamentari, pari a di 16 mld – ragiona il segretario generale First Cisl, Riccardo Colombani –, quindi ci sono ampi margini per aumentare le quote di mercato”.
Secondo lo studio presentato da OAM a fine aprile, ad oggi sono 3.381 i comuni (il 42,8% del totale) e 4,6 milioni gli italiani senza una presenza bancaria su strada: le fusioni in via di definizione sono destinate a prolungare la tendenza, tuttavia la media nazionale è ancora di oltre 30 sportelli ogni 100mila abitanti. Confidi e reti di agenzie in attività finanziaria e mediatori creditizi, così come le banche di prossimità/comunità, devono approfittare dei “buchi” lasciati dalla razionalizzazione della presenza locale dei colossi.

Dagli ultimi comunicati, anche le “less significant” sembrano discretamente equipaggiate per il prosieguo d’esercizio; tuttavia sugli istituti territoriali non mancano zone d’ombra, come ad esempio l’impegno sui fattori ESG – voce sempre più importante relazioni finanziarie – in cui secondo un’altra agenzia, Standard Ethics, risultano largamente insufficienti: solo il 26% delle 43 banche non quotate monitorate (in prevalenza popolari e casse di risparmio) pubblica una policy su diversità ed inclusione, il 19% sulla parità di genere, il 14% sull’ambiente, appena il 9% sui diritti e addirittura nessuna sull’intelligenza artificiale.
L’allineamento alle indicazioni internazionali è distante ed è diffuso l’impiego di consulenza esterna per le attività di comunicazione e rendicontazione.

Nasce il Comitato delle piccole e medie Banche: “Nessun conflitto con ABI”

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