19 Luglio 2021

Il Futuro che Verrà (parte II). Dove Investire?

di Piergiorgio Giuliani, vice direttore PLTV

Dopo aver analizzato il mercato del lavoro e la sua produttività che, come abbiamo visto,  presenta problematiche strutturali non indifferenti, sorge la domanda: dove investire in Italia affinchè ci sia una crescita concreta che sviluppi il nostro Prodotto Interno Lordo in maniera solida e duratura?

La prima risposta ci viene dal PNRR, avallato dalla Comunità Europea.

Su questa non mi soffermerò perché i media hanno ampiamente dissertato sull’argomento.

Mi preme solo sottolineare che la situazione delle nostre infrastruttura è allo sfascio: anni di incurie e inesistente manutenzione hanno trasformato le nostre vie di comunicazione  (e non parlo solo delle autostrade) in strade da terzo mondo; i nostri aeroporti sono sottodimensionati per non parlare dei porti e del sistema ferroviario. Con tutto questo il trasporto di merci ed il turismo sono pesantemente penalizzati e ciò si riflette sulla nostra economia.

Confrontiamo la composizione del nostro Prodotto Interno Lordo con quello della Spagna, che nella classifica europea è la nazione immediatamente successiva all’Italia.

In percentuale, il settore primario italiano pesa il 2,2%, quello secondario ( che comprende il settore industriale e quello delle costruzioni) il 23,8% e quello terziario ben il 74%.

In Spagna il settore primario rappresenta il 7% del Pil, il settore secondario il 29% e il terziario il 64%.

Consideriamo inoltre che la crescita di produttività per occupato negli ultimi 13 anni in Spagna ha avuto incrementi a doppia cifra a differenza dell’Italia che è diminuita del 5% (vedi articolo precedente).

E’ imbarazzante che in Italia l’agricoltura abbia uno spazio così ridotto, quando siamo una nazione che ha un clima favoloso, tanti terreni incolti e una cultura del cibo ai massimi livelli. L’Italia, tanto per fare un esempio, è il paese al mondo col maggior numero di vitigni autoctoni: oltre 260.

E non siamo capaci di sfruttare queste potenzialità: alto tasso di disoccupazione e risorse splendide sottoutilizzate.

Invece sviluppiamo bene, sembra, il settore dei servizi: 10 punti percentuali in più della Spagna.

Purtroppo anche in questo settore, come ebbi a scrivere in un articolo precedente, “non è tutto oro quello che luccica”.

Infatti nel terziario è compreso il PIL generato dal comparto dei beni storici, artistici, culturali e turistici.

L’Italia è il Paese in valore assoluto col maggior numero di beni storici e culturali al mondo. Abbiamo addirittura 55 siti classificati come Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO: il numero più alto in assoluto assieme ai 55 della Cina.

Con tutto questo patrimonio a disposizione, e non vi è nazione al mondo al nostro pari, in Italia generiamo circa il 13% del PIL,  ben 3 volte quanto produce il settore delle costruzioni. Peccato che la media europea sia del 14%, un punto in più!

Per contro la Spagna fa “fruttare” il suo patrimonio al 21%. Se lo facessimo anche noi in meno di 20 anni potremmo azzerare il nostro debito pubblico.

Ragionando quindi in termini di efficienza marginale del capitale di Keynesiana memoria, investire in agricoltura, turismo e valorizzazione dei beni artistici storici e culturali porta benefici maggiori che investire in settori “maturi”.

Nel prossimo ed ultimo articolo di questo “trittico” analizzerò la comunicazione dei media e verificherò se quanto scritto è anche nei progetti di chi ci governa.

Se così fosse banche e assicurazioni avranno il compito di costruire prodotti studiati appositamente per aiutare gli imprenditori di questi settori a sviluppare il loro business, con reciproco beneficio.

Alla prossima settimana.

 

 

 

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